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  • Si possono effettuare ristrutturazioni edilizie che riducono i volumi preesistenti

    La volumetria preesistente costituisce lo standard massimo di edificabilità in sede di ricostruzione. L'intento del legislatore è quello di impedire soltanto aumenti della complessiva cubatura degli edifici esistenti, ma non diminuzioni della stessa. La linea di confine. Le norme che disciplinano gli interventi edilizi di ristrutturazione sono stati sempre oggetto di un accesso dibattito giurisprudenziale soprattutto perché hanno avuto un grande impatto applicativo. Dalla interpretazione delle stesse dipende la stessa ammissibilità, o meno, degli interventi edilizi. Le opere di ristrutturazione presentano, per loro natura, una connotazione conservativa e per tali motivi sono ammissibili purché non contrastino la disciplina urbanistica. Sorge, a questo punto, la necessità di individuare il limite entro il quale le modifiche del fabbricato sono compatibili con la conservazione della sua identità architettonica e quindi con la qualifica di ristrutturazione, senza sconfinare in eventuali abusi. Uno spostamento di lieve entità non osta alla applicazione dell'agevolazioni fiscali per le ristrutturazioni edilizie Il caso. Una ditta ottiene il rilascio di titoli abilitativi per una serie di interventi edilizi. Gli interventi da realizzare sono tanti: ristrutturazione edilizia dell'unità residenziale, trasformazione in autorimessa del locale deposito sottostante, realizzazione di due coppie di balconi; il collegamento strutturale dei due fabbricati. I ricorrenti impugna gli atti con cui il Comune di Caserta aveva dato assenso agli interventi edilizi richiesti dalla ditta, chiedendone l'annullamento, in quanto i lavori posti in essere avevano provocato una modifica del volume complessivo dell'organismo edilizio violando l'art. 3 co. 1 lett. d) DPR 380/2001 e ed era stato violato l'art. 8 dello strumento urbanistico generale di Caserta, laddove consente interventi di restauro conservativo, di ristrutturazione funzionale, o di sostituzione dell'edilizia esistente, ma a parità di volume. La decisione. Accertato che si è realizzato un parziale abbattimento e ricostruzione con volume in diminuzione rispetto all'esistente il collegio giudicante, (TAR Napoli sentenza 25 luglio 2014 n. 4265) respinge la tesi dei ricorrenti, condividendo invece quanto già precisato dal TAR Puglia-Bari nella sentenza n. 3210 del 22.7.2004 che ha considerato corretta e conforme alla legge l'affermazione che la volumetria preesistente costituisce lo standard massimo di edificabilità in sede di ricostruzione, nel senso che sussiste la possibilità di utilizzare la preesistente volumetria soltanto in parte in sede di ricostruzione, essendone precluso soltanto un aumento; cosa desumibile dalle modifiche della normativa di riferimento (l'art. 3 DPR 380/2001) intervenute nel tempo, posto che si è passati dalla necessità di una “ fedele ricostruzione” ad una ricostruzione “con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente”, ed oggi alla “demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria…preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica”: è quindi evidente l'intento del legislatore di impedire soltanto aumenti della complessiva cubatura degli edifici esistenti, ma non diminuzioni della stessa. Il più contiene il meno. Volendo dare un senso pratico alla decisione emessa dal TAR possiamo affermare che purché l'opera di ristrutturazioni resti entro una tale soglia il proprietario è legittimato a richiedere il permesso edilizio per una costruzione quantitativamente minore, con l'unico limite di rispettare tutti gli altri parametri (destinazione d'uso e tipologia edilizia). Pertanto, la prevista diminuzione di volumetria, non appare ostativa alla riconducibilità dell'intervento alla fattispecie della ristrutturazione edilizia. Perché come scriveva Massimo Saverio Giannini "non ha alcun rilievo il “come” il proprietario eserciti i propri diritti; ma è sufficiente che osservi gli obblighi che gli sono imposti dalla legge o dal provvedimento amministrativo". Se è vero che nella logica del massimo vantaggio economico, quasi sempre vengono presentati progetti che, coincidono con la soglia massima di edificabilità consentita, nulla vieta ristrutturare un edificio realizzando volumi inferiori a quelli preesistenti purché vengano tutelate determinate prescrizioni imposte dal regolamenti edilizi. Così operando, la giurisprudenza più recente, apre le maglie agevolando il soggetto privato che potrà realizzare gli interventi edilizi volti alla riqualificazione e rinnovo urbano così come richiesto dal recente progetto di legge presentato dal Ministro Lupi che contiene misure volte alla realizzazione di politiche strategiche orientate al recupero e alla valorizzazione del patrimonio e del tessuto esistente delle periferie prevedendo il ripristino ambientale e paesaggistico delle aree degradate ma anche uno snellimento burocratico delle procedure edilizie tramite la semplificazione e razionalizzazione della disciplina dei titoli edilizi, alla riorganizzazione dello Sportello Unico dell'edilizia, ed al riordino della normativa tecnica sulle costruzioni e sui prodotti da costruzione.

  • Polizza obbligatoria contro le catastrofi? Non lo è ma potrebbe diventarlo.

    Rispunta la polizza fabbricati (obbligatoria) contro le calamità naturali. Allo studio una proposta per risparmiare subito un miliardo di euro. Ma alcuni pensano già ad una nuova tassa sulla casa. Un iter travagliato. Da alcune recenti statistiche risulta che i danni provocati dalle catastrofi naturali, nel periodo 1944/2012, sono costati allo Stato più di 240miliardi di euro e, solo nel 2013, oltre 3miliardi di euro. Si tratta di un risarcimento che non stupisce se si pensa che l'Italia è stato classificato come il secondo Paese europeo per rischio sismico e sesto per quello di inondazioni. Proprio in riferimento agli ultimi eventi intercorsi si è ritornati a discutere sulla eventuale necessità di introdurre una polizza anti-calamità obbligatoria per tutti gli edifici. Per onor di cronaca è opportuno ricordare che nel lontano 2004, il testo delle finanziaria prevedeva una assicurazione obbligatoria sugli immobili che provocò un giudizio negativo da parte dell'Autorità Garante della concorrenza il quale ha osservato che "la soluzione prescelta con la disposizione in esame genera un assetto ibrido del settore che potrebbe compromettere l'esplicarsi della concorrenza a danno dei consumatori e del benessere complessivo". Successivamente, in sede di approvazione della Finanziaria 2007, fu presentato un emendamento che proponeva di destinare i 50 milioni di euro inizialmente stanziati per la polizza, ad un fondo di garanzia gestito dalla Consap, ossia dalla compagnia di assicurazione pubblica che gestisce già altri fondi. Il disegno di Legge estendeva ai "fabbricati privati" un Fondo di garanzia destinato ad avviare un regime assicurativo volontario per la copertura dei rischi derivanti da calamità naturali. Anche questo tentativo naufragò in quanto l'emendamento non trovò l'approvazione. Arriviamo al 2010 dove La Finanziaria 2010 destinò un miliardo di euro al Piano Straordinario contro il rischio idrogeologico. Infine è importante ricordare che la polizza contro i terremoti e le altre calamità era già stata prevista dal governo Monti, in occasione della riforma della Protezione Civile (D.L. 59/2012), ma non fu mai convertita in legge in quanto, in Parlamento, si intervenne per abolire l'art. 2 che prevedeva un regolamento di attuazione della polizza assicurativa per gli immobili privati su base volontaria al fine di "garantire adeguati, tempestivi ed uniformi livelli di soddisfacimento delle esigenze di riparazione e ricostruzione". Le soluzioni adottate dagli altri Paesi. Gli altri Paesi esteri, come gli Stati Uniti, il Giappone, ma anche la Spagna e la Francia, per far fronte al rischio catastrofale, hanno optato per dei sistemi che si basano sulla collaborazione tra pubblico e privato, che ripartisce fra Stato e assicuratori la responsabilità del risarcimento in caso di sinistro. Mentre in Italia, il costo di tali risarcimenti viene ripartito tra i cittadini attraverso la fiscalità. Ma se finora questo modello di intervento ex post da parte della fiscalità generale si è rivelato in grado di affrontare situazioni di grande difficoltà, adesso le risorse pubbliche sembrano del tutto insufficienti a far fronte ad ulteriori risarcimenti ex post. La proposta. Recentemente è stata avanzata una proposta, proveniente dal mondo assicurativo, secondo la quale lo Stato continui a partecipare a una predeterminata percentuale del danno subito, per esempio il 50%, e che la quota di rischio esclusa dall'intervento pubblico sia coperta da una polizza privata, di natura obbligatoria, sottoscritta dai proprietari di abitazione. Secondo gli addetti ai lavori, a beneficiare sarebbe oltre che i conti pubblici, anche i cittadini i quali godrebbero di una maggiore tempestività nei risarcimenti e di nuovi sgravi fiscali. Infatti, la soluzione deve prevedere incentivi fiscali volti a contenere i costi del sistema per gli assicurati, favorendo l'effettiva diffusione delle coperture. A ciò si deve aggiungere che i proprietari delle abitazioni, sostenendo una piccola spesa, potrebbero contare su risarcimenti certi e tempestivi. Senza contare il sistema virtuoso che la proposta innescherebbe sul versante della sicurezza: i prezzi delle coperture sarebbero correlati alle misure di prevenzione adottate dai proprietari, comportando una progressiva riqualificazione del patrimonio edilizio. Le reazioni. Mentre il ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi, guarda con favore a questa possibilità, per la strutturale riduzione del costo dei risarcimenti di almeno un miliardo di euro all'anno che produrrebbe, e si dice propensa a modificare l'attuale normativa, molti leggono questa proposta, per l'obbligatorietà che comporterebbe, come una nuova tassa sulla casa.

  • Differenza tra interventi di manutenzione, risanamento e restauro. Quando il condominio può beneficiare dell'Iva agevolata al 10%?

    Ogni intervento edilizio realizzato su un immobile, a secondo della finalità e della funzione assolta, è inquadrabile all'interno di una categoria tipizzata normativamente. A secondo della tipologia è possibile usufruire di alcune agevolazioni fiscali, ovvero di talune misure di semplificazioni amministrativa. Tra le misure più interessanti - almeno stando al profilo dell'impatto economico diretto - va annoverata quella dell'applicazione dell'IVA al 10%, sulle fatture emesse dall'appaltatore. Il punto 127-quaterdecies della Tabella A, Parte III, intitolata "Beni e Sevizi Soggetti all'aliquota del 10% di cui al D.P.R. 633/1972",ne prevede l'applicazione limitatamente agli "? interventi di recupero di cui all'articolo 31 della legge 5 agosto 1978, n. 457, esclusi quelli di cui alle lettere a) e b) del primo comma dello stesso articolo". Per selezionare tali interventi, sovviene in aiuto il Testo unico in materia edilizia (Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 - G.U. n. 245 del 20 ottobre 2001 - Supplemento Ordinario n. 239). E partitamente, l'articolo 3 prevede segnatamente quanto segue:. "Ai fini del Testo Unico si intendono per: a) "interventi di manutenzione ordinaria", gli interventi edilizi che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti; b) "interventi di manutenzione straordinaria", le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche delle destinazioni di uso; c) "interventi di restauro e di risanamento conservativo", gli interventi edilizi rivolti a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo stesso, ne consentano destinazioni d'uso con essi compatibili. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio, l'inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso, l'eliminazione degli elementi estranei all'organismo edilizio; d) "interventi di ristrutturazione edilizia", gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell'edificio preesistente". L'art. 7, comma 1, lett. b), Legge n. 488/1999 (legge finanziaria del 2000) ha poi esteso l'applicazione dell'aliquota IVA agevolata del 10%, anche agli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, realizzati su fabbricati a prevalente destinazione abitativa privata (categorie catastali da A1 ad A 11, ad esclusione della A10). L'agevolazione fiscale dopo diversi rinnovi annuali è stata stabilizzata con la legge finanziaria anno 2010 (legge 191 del 29 dicembre 2009), in virtù di una direttiva comunitaria che ha permesso agli stati membri di mettere a regime la misura.. Il caso. Ciò opportunamente premesso, è successo che un condominio abbia opposto un decreto ingiuntivo - chiesto ed ottenuto dall'impresa appaltatrice a cui aveva precedentemente affidato l'esecuzione di opere (asseritamente qualificate come "ristrutturazione edilizia") - lamentando, tra l'altro, l'applicazione dell'IVA al 20%, in luogo di quella al 10% sul valore complessivo della fattura saldata. Per cui esercitava domanda riconvenzionale onde ottenere la restituzione di quanto indebitamente versato oltre l'aliquota iva del 10%. Il primo grado del giudizio si concludeva con l'emissione di un provvedimento d'improcedibilità dell'opposizione per difetto di giurisdizione (le parti - a quanto pare - avevano convenuto, all'atto del conferimento dell'appalto, una clausola arbitrale con la quale demandavano la risoluzione delle controversie ad un collegio arbitrale). Il Condominio opponente impugnava però la Sentenza avanti alla Corte d'appello. Il giudice del gravame accoglieva, in punto, il gravame. In effetti - sentenziava la Corte d'Appello - l'appaltatore costituendosi in giudizio e chiedendo la condanna del Condominio al saldo della fattura pretesa in pagamento (indi, non in via subordinata), avrebbe assunto un comportamento concludente, "?rinunziando (di fatto) a far valere la clausola arbitrale", da cui la sussistenza della giurisdizione in capo al Giudice ordinario per la trattazione dell'affare. Il provvedimento. La domanda riconvenzionale sull'indebito oggettivo agitata dal Condominio appellante, non ha avuto però la stessa sorte. La Corte di Appello di Catania - con Sentenza del 17 aprile 2014 - ha infatti rigettato la pretesa economica in disamina, rilevando che i lavori commissionati dal Condominio non sono sussumibili nell'ambito degli interventi di ristrutturazione e restauro conservativo - come asserito -, bensì in quelli previsti per la manutenzione straordinaria. in quanto tali, non sarebbero ex lege assoggettabili all'applicazione dell'agevolazione fiscale richiamata in atti (IVA al 10%). Ed invero: "Ai sensi del d.p.r. 633/72 (punto 127 quaterdecies Tabella A) l'agevolazione IVA al 10% è prevista solo per le ipotesi di cui alla lettera C dell'art. 31 L. 457/78 (interventi di restauro e di risanamento conservativo) distinti dalla manutenzione straordinaria, avente finalità conservativa, e che quindi comportano come risultato la modificazione generalizzata e sistematica dell'immobile che viene a costituire, pur nel rispetto dei suoi elementi tipologici, formali e strutturali, un'entità ontologicamente e qualitativamente diversa dalla precedente (Cass. Civ., Sez. III, 19/11/1995, n. 12397). Nella specie si versa, invece, in ipotesi di manutenzione straordinaria, non solo perché cosi recita la stessa premessa del contratto ma perché il successivo art 2 ne chiarisce l'oggetto, ossia gli interventi sui prospetti degli edifici, frontalini, pareti, cieche mantovana copertura a terrazza e ballatoi) e quindi tutti lavori con finalità, all'evidenza, solo conservativa attesane la vetustà e lo stato di conservazione [?]". Conclusione. Al di là dell'argomentazione giuridica addotta e della sua effettiva legittimità - l'iter argomentativo sviluppato dal Giudice di appello predetto non ci risulta del tutto chiaro: a causa dei pochi elementi fattuali a nostra disposizione - giova qui precisare, in via conclusiva, che l'agevolazione fiscale dell'IVA al 10% risulterebbe, a tutt'oggi, applicabile (anche) agli interventi di manutenzione straordinaria od ordinaria da eseguirsi presso gli edifici residenziali (categorie catastali A1-A11, con sola esclusione della A10), stante l'art. 2, comma 11, Legge n. 191/2009 (finanziaria 2010). A tal fine, non sarebbe più rilevante la relativa distinzione con quelli volti al risanamento o restauro conservativo, di cui alla lettera c) dell'art. 3 del testo coordinato 06.06.2001 n. 380 in materia di edilizia (in forza del vecchio riferimento segnato dall'art. 31 DPR457/1978)

  • Si possono effettuare lavori su parti comuni anche senza il consenso preventivo degli altri condòmini?

    Quando è necessario richiedere il consenso preventivo dell'assemblea condominiale. Partiamo da un presupposto: i giudici amministrativi hanno individuato nel consenso preventivo assembleare un momento partecipativo preliminare volto al rilascio di un assenso per la realizzazione di opere consistenti nella realizzazione di interventi edilizi su beni di proprietà condominiale. Tale assunto è stato ribadito da numerosi arresti giurisprudenziali: “la soprelevazione del tetto costituente copertura di tutto il condominio impone il rispetto delle garanzie partecipative del condominio stesso quale soggetto direttamente interessato dall'intervento assentito”(T.A.R. Liguria Genova, sez. I, 17 maggio 2007, n. 800), mentre per quanto riguarda la realizzazione di opere comportanti modifica ai cavedi, stante la natura di parte comune degli stessi, sempre il T.A.R. Liguria, ha stabilito che occorre l'assenso da parte del condominio (T.A.R. Liguria Genova, sez. I, 17 giugno 2005, n. 916). Sullo stesso filone interpretativo si schiera il TAR Campania, Napoli, che con sentenza del 29 marzo 2007, n. 2902, ha precisato che “nel caso di opere edilizie soggette a DIA che vadano ad incidere sul diritto di altri comproprietari, è legittimo esigere il consenso degli stessi; tate consenso è tuttavia richiesto in forma esplicita qualora vi sia un conclamato dissidio fra i comproprietari in ordine all'intervento progettato”. Particolarmente interessanti, ai fini della nostra indagine, risultano due recenti pronunciamenti: il primo è stato emesso dal TAR Lombardia, Milano, che con sentenza dell'8 marzo 2007, n. 381, stabilisce che “poiché l'art 1102 c.c. consente a ciascun condomino di apportare le modificazioni necessarie al miglior godimento della cosa comune, senza alterarne la destinazione e senza impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso, deve ritenersi che il singolo condomino sia legittimato a presentare in proprio una DIA, non essendo necessaria la contestuale sottoscrizione della richiesta da parte degli altri comproprietari, se gli interventi rientrano in tale facoltà”. Ancor più interessante risulta essere la sentenza emessa dal TAR Veneto, del 2 luglio 2007, n. 2139 che ha stabilito che “ove la realizzazione di opere in attuazione di una DIA interessino anche il condominio, il mancato assenso di quest'ultimo, la cui porzione immobiliare inerisce, concerne esclusivamente tematiche privatistiche, cui resta estranea l'Amministrazione in sede di esame della denuncia medesima e, di conseguenza, risulta illegittima la sospensione della DIA motivata dal mancato intervento di una autorizzazione condominiale in ordine ai lavori edilizi”. In altri termini, secondo il giudice veneto, il mancato assenso del condominio cui la porzione immobiliare inerisce e l'eventuale mancato rispetto della disciplina condominiale è questione che concerne le relazioni privatistiche, cui resta estranea l'Amministrazione. Però a differenti conclusioni non può indurre la considerazione che l'intervento in questione consiste nella realizzazione di un balcone in aggetto al muro perimetrale comune, di cui i ricorrenti non hanno la proprietà esclusiva. Invero, la porzione di muro perimetrale sulla quale si è chiesto dì inserire il balcone è quella che delimita la proprietà esclusiva degli stessi ricorrenti. Orbene, può anche essere condiviso, in linea di principio, che quando si tratti di intervenire su di un bene che non sia di esclusiva proprietà del richiedente, la titolarità della porzione condominiale non sia sufficiente, da sola, a legittimare la richiesta dei titolo edilizio, in quanto la facoltà di eseguire opere sulla cosa comune ovvero di modificarla a proprie spese, si concreta con la compresenza dì elementi negativi desumibili dalla formula degli artt. 1122 e 1102 c.c. Però la il Tribunale, continua nella sua motivazione, precisando che l'accertamento di tali elementi negativi deve essere compiuto dall'Amministrazione soltanto sulla base di parametri oggettivi e tecnici, che si correlano alle norme tecniche e regolamentari che, nel territorio, disciplinano la realizzazione dell'opera. Il caso di specie. Il caso analizzato dal giudice amministrativo pugliese (Tar Puglia sentenza 16 giugno 2014, n. 730) trae origine dall'impugnazione di un permesso di costruire rilasciato al proprietario di un appartamento sito al piano terra del condominio, il quale aveva presentato istanza edilizia per l'apertura di alcuni vani finestra sul muro perimetrale con ampliamento del vano porta. Si propone ricorso, denunciando la violazione della normativa civilistica in tema di condominio degli edifici, riverberatasi sulla legittimità del permesso di costruire rilasciato. Il Tar, condividendo l'orientamento della Cassazione (sentenza del 20 febbraio 1997 n. 1554) che ammette la modifica da parte del singolo di parti comuni, purché tali modifiche non pregiudichino l'uso comune stabilisce che: è possibile modificare di parti comuni, purché tali modifiche non pregiudicano l'uso della cosa comune; la realizzazione di modifiche su parti comuni degli edifici è legittima anche in assenza del consenso degli altri condomini purché i lavori non sottraggano definitivamente il bene alla sua funzione condivisa; i lavori effettuati non devono pregiudicare la stabilità, il decoro o alla sicurezza del fabbricato. Nel caso di specie il TAR esclude che l'apertura dei vani finestre e l'ampliamento della porta abbia sottratto il muro perimetrale alla sua ordinaria funzione comune, per tali motivi non è necessaria l'autorizzazione preventiva da parte del condominio. Per tali ragioni il giudice amministrativo non riscontra nessuna violazione nei confronti delle norme civilistiche. Conclusioni. Dal sistema interpretativo giurisprudenziale si ricava che l'assemblea rimane sempre il massimo organismo deliberativo del condominio. I poteri dell'assemblea condominiale riguardano anche la disciplina delle modificazioni e delle innovazioni della cosa comune. Questo implica riconoscere e di individuare l'ambito entro il quale è lecito sceglierne le modalità attuative dei singoli lavori da eseguire sulle parti comuni, che possono essere diverse tra loro. Il generale divieto di esecuzione di opere che arrechino danno alle parti comuni, ovvero determinino un pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell'edificio deve essere sempre applicato al caso di specie per cui non sempre è necessaria la preventiva autorizzazione dell'assemblea condominiale purché vengano rispettati determinati limiti.